L'intervista: 30 anni di DJ Maxwell tra successi, collaborazioni e sperimentazioni
Prima dell'evento "celebrativo" dei 30 anni di attività di DJ Maxwell, serata conclusiva del 64° Festival di Majano, abbiamo avuto il piacere di intervistare l'artista friuliano diventato un grande esponente nel panorama della musica dance, e di parlare a viso aperto della sua carriera piena di successi e di collaborazioni importantissime.
Quando eri al liceo eri appassionato di musica Rock. Qual è stato il “click” che ti ha portato poi a dire “voglio fare il DJ”?
Era la fine degli anni 80 e si, ascoltavo esclusivamente il Rock di quegli anni: Pink Floyd, Guns.. Abitavo a Verona e le compagnie al tempo si radunavano ed andavano in discoteca la domenica pomeriggio, ed in quel caso o andavi o eri “escluso”. Quindi ho detto “boh, andiamo a vedere cos’è sta roba” e li mi ha incuriosito molto la tecnica, vedere cosa faceva il DJ, come suonava, come usava i dischi, più che la musica in sé. Poi in realtà è stata la radio, in particolare Deejay time, l’esplosione di Albertino dei primi anni 90, ed il fascino di comunicare solo con la musica e la voce era il top e mi ha aperto a questo mondo.
Gli anni 2000 ti han fatto poi esplodere, tra collaborazioni e canzoni di successo. Cosa ricordi in particolare di quegli anni?
Era ormai da un po' di tempo che suonavo in discoteca, e ad un certo punto nasceva l’esigenza di voler provare a suonare qualcosa di mio, ed ho iniziato a fare alcune produzioni con Simone Ermacora, col quale lavoro tuttora. Il primo è stato la Bambolina, con Gabry Ponte, poi arrivano “Mirage (Stasera la luna)” e “Vieni con me” coi Paps’N’Skar, canzoni prese in una nota pubblicità e portate al festivalbar. Però già li si entrava in un contesto di “successo” che a me non piace e non mi interessa. Quindi mi son un po’ “staccato” e contemporaneamente ho iniziato a collaborare con Gigi d’Agostino, perché era l’unico con cui riuscivo a trovare affinità dal punto di vista emotivo e di obiettivi. Con lui si puntava solo a fare bene quello che stai facendo e a sperimentare sempre qualcosa di nuovo.
Nel 2010 poi esce Trust No One, il primo di 4 CD. Cosa ti ha dato veder pubblicato il tuo album?
Dopo 5 - 6 anni di collaborazione con Gigi al suo “cammino” su M2O e di residenza al Mirò di Lignano nella sala “Lento Violento” abbiamo fatto un lavoro di produzione enorme, ed ho quindi deciso di pubblicare alcune di quelle produzioni. Il titolo dell’album arriva da un episodio di X-Files, serie di cui ero appassionato. In realtà la mia idea era di chiudere al terzo CD, in una trilogia come Ritorno al futuro, però siccome c’era molta richiesta ho deciso di pubblicare anche il volume 4. Lo vedo semplicemente come un passaggio del cammino che ho fatto.
Hai una canzone preferita tra le tue produzioni?
Sicuramente “La Bambolina”, perché era la canzone che mi cantava la nonna quando ero piccolo. Poi è rimasta in un angolo dei ricordi ed è riapparsa in versione originale in 45 giri, quasi per caso, mentre mettevo a posto dei dischi in radio. Allora mi son detto “dai, la faccio”. Poi se devo dirne un'altra rispondo “I want to believe”, del primo CD, un viaggio molto etereo, anche un po' "strano".
Il tuo stile negli anni si è costantemente evoluto in diverse sfumature. È questo il tuo principale punto di forza?
Qui più che le collaborazioni dirette il “vantaggio” è stato che ho sempre ascoltato di tutto: Rock, Pop, Indie, le cose italiane, l’House anche se mi è sempre stata un po’ sulle palle (ride), la Techno.. Solo ascoltando tanto puoi capire dove portare le persone quando suoni, per non proporre sempre le stesse cose come capita adesso. In questo mondo di finte collaborazioni conviene fare quello che piace a te ed investire il tempo a creare spettacoli di un certo tipo.
Cosa ci farai vivere questa sera?
Spero di farvi vivere un evento immersivo, di portarvi in un percorso di musica e di temi dei film tramite le loro immagini. Vedremo, è un esperimento, mi dirai domani come è stato! L’idea nasce dal concerto “The Wall” dei Pink Floyd, dove loro a metà concerto chiudevano un muro di polistirolo alto 16 metri e proiettavano su questo muro poi le immagini del film, un concerto monumentale dove il pubblico per metà concerto non vedeva nemmeno gli artisti suonare. Per il nostro show ho ideato una “via di mezzo” in cui incastro la musica elettronica con concetti presi da film che hanno fatto la storia del cinema, cercando di trasportare le persone in una dimensione “avvolgente”.
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